I predatori che tornano

STEFANO UNTERTHINER - Agosto 2012

Ho visto il mio primo gipeto quasi vent'anni fa. Erano i miei primi anni all'università e già allora approfittavo di ogni momento libero per scappare in montagna con la macchina fotografica nello zaino. Il gipeto era allora una presenza “nuova” tra le montagne valdostane e per un giovane fotografo naturalista uno scatto del mitico avvoltoio rappresentava una piccola conquista. Sulle Alpi, l'ultimo esemplare di gipeto fu abbattuto proprio in Valle d'Aosta: era il 1913 e nella Valle di Rhêmes alcuni cacciatori uccisero un maschio adulto che da tempo frequentava la valle. In quei primi anni novanta, l'avvoltoio era però tornato di nuovo a volare tra le montagne alpine grazie a un'ambizioso progetto internazionale di reintroduzione. Dopo i primi rilasci, le osservazioni cominciarono anche in Valle d'Aosta: la specie veniva segnalata in particolare nelle valli del Parco del Gran Paradiso. Più volte avevo provato, senza successo, a fotografare il grande rapace; quella mattina decisi di salire verso Bocconère, nella Valsavarenche. Giunto poco sopra il “casotto” del guardaparco, sentii alle mie spalle un rumore sordo. Mi voltai, e pochi metri sopra la mia testa ecco il gipeto. Ricordo ancora la sorpresa e l'emozione, il rumore dell'aria tra le grandi ali, il forte becco e i caratteristici baffi spioventi. Lo osservai per lunghi secondi, prima di ricordarmi di avere tra le mani la macchina fotografica. Quel giorno, riuscii soltanto a fare qualche immagine sfocata. Avevo perso l'occasione di uno scatto a lungo sognato, ma ero riuscito a vedere “l'avvoltoio degli agnelli”!

Vent'anni dopo quell'incontro, e a quasi un secolo da quell'ultimo gipeto ucciso nella Valle di Rhêmes, la specie è tornata quest'anno a riprodursi con successo nel Parco del Gran Paradiso. E proprio nella Valle di Rhêmes, qualche settimana fa, si è involato il primo dei due giovani avvoltoi nati nel Parco (le ultime notizie le trovate sulla pagine web dell'Ente: www.pngp.it/notizie). Il gipeto come l'orso, la lince, il lupo. I “predatori” sono tornati in diverse regioni alpine (predatori, o presunti tali: il gipeto è un necrofago e l'orso è sì un carnivoro, ma con un regime alimentare onnivoro): ritorni naturali, come quello del lupo, o realizzati dall'uomo con specifici progetti di reintroduzioni (il gipeto, appunto, ma anche l'orso nelle Dolomiti e la lince in Svizzera).

La presenza di questi grandi animali sulle Alpi riaccende antichi timori e pregiudizi. Il lupo è quello che suscita le paure più profonde, le discussioni più accese. Canis lupusè il simbolo di una natura selvaggia che ritorna; quella natura che l'uomo ha sempre cercato di controllare, di domare. Vorrei però evitare adesso la solita diatriba sul lupo (tornerò sull'argomento con un prossimo editoriale), ma cercare invece di vedere le cose sotto un altro aspetto. Quale opportunità si aprono a un territorio che ospita questi animali carismatici? Esiste la possibilità di veicolare un messaggio di richiamo turistico grazie alla presenza, per esempio, del gipeto o del lupo? In altre parole, la presenza di questi animali “simbolo” può essere un valore turistico aggiunto per un territorio? Io penso di si. Gli esempi sono numerosi, basta osservare cosa accade nelle aree protette dell'India (laddove c'è la tigre, ci sono anche turisti) e nei grandi Parchi africani. Altri esempi. Il Parco Nazionale di Komodo, in Indonesia, è conosciuto in tutto il mondo per i suoi “draghi” velenosi e voraci. In Finlandia, l'orso è diventato una vera e propria attrazione: il bear-watching, l'osservazione dell'orso (ma anche del lupo e del ghiottone) in natura, è ormai un business lucroso in diverse regioni del Paese scandinavo. Un dato è certo: moltissime aree protette nel mondo (non solo i grandi Parchi, ma anche piccole riserve private) promuovono la propria immagine attraverso la presenza di qualche animale carismatico tra i loro confini. Il predatore non è più visto come qualcosa di dannoso, e dunque da eliminare (come succedeva sopratutto in passato), di problematico e da “gestire” (come avviene oggi), ma come una risorsa che va protetta. C'è da chiedersi perché questo avvenga in tanti Paesi in via di sviluppo, ma non ancora diffusamente in Europa. Detto questo, non voglio negare i problemi che può comportare il ritorno di un predatore, sopratutto in regioni densamente popolate e dove esistono attività, come la pastorizia, che vanno tutelate. Perché, però, non cominciare a guardare anche alle opportunità? Intanto, un po' di promozione io la faccio: nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, il lupo e il gipeto ci sono...