Pietro Passerin d’Entrèves

Spigolature di Biodiversità

Panoramica del Mont AvicQuando mi iscrissi all’Università di Torino nel 1965 per laurearmi poi in Scienze Biologiche, non si parlava di biodiversità. Non ne parlava l’ambiente accademico, non ne parlavano i media, certamente non ne parlavano i politici e gli opinionisti. Era un termine totalmente sconosciuto, anche se la biodiversità era sotto gli occhi di tutti da sempre. In poco più di cinquant’anni le Scienze Biologiche e Naturali si sono enormemente sviluppate in tutti i campi; tralasciando quello biomedico, possiamo dire che la biologia animale, quella vegetale, la micologia, la protistologia e la microbiologia, cioè le scienze che studiano i diversi gruppi di esseri viventi, cui vanno aggiunti i virus, ahimè drammaticamente attuali, hanno raggiunto traguardi spesso impensabili. E soprattutto ci danno conto e conoscenza di una quantità straordinaria di organismi differenti tra loro, ma tutti più o meno strettamente correlati: la biodiversità in senso stretto.


Questo felicissimo termine, purtroppo sempre più spesso abusato, o mal usato, si deve all’entomologo Edward Osborne Wilson che lo coniò nel 1986, per meglio definire, anche dal punto di vista comunicativo, la diversità biologica. Wilson, autore di approfonditi studi nel campo della sociobiologia di cui è stato il fondatore nel 1975, fin da giovane aveva osservato e poi studiato l’enorme quantità di forme di insetti, il loro comportamento – in particolare quello delle società delle formiche – la loro ecologia e la loro distribuzione.
La biodiversitàè il risultato dell’evoluzione e, grazie alle ricerche di James Watson e Francis Crick che descrissero, nel 1953, in modo completo la doppia elica del DNA e alla successiva conoscenza del codice genetico e delle modalità di espressione e trasmissione dei geni da generazione a generazione, sappiamo che il genoma di ogni organismo vivente ne è il magazzino e la fabbrica.
Fin qui un po’ di storia per capire l’origine e le basi del concetto di biodiversità, il cui studio interessa in prima istanza la biologia sistematica e la tassonomia, scienze che si occupano di descrivere, nominare e classificare gli esseri viventi, per poi estendersi a molte altre discipline, prima fra tutte l’ecologia.
Infatti il concetto di biodiversitàè oggi talmente diffuso ed espanso da comprendere tutte le manifestazioni della varietà naturale a tutti i livelli dell’organizzazione biologica; dal livello molecolare a quello del patrimonio genetico, dalla specie alle comunità biologiche, al paesaggio. Pertanto, nella biodiversità possiamo far rientrare, ad esempio, le differenze dei colori delle foglie di un bosco, i differenti canti degli uccelli, le varietà dei fiori di un prato.


E se da un lato assistiamo quasi quotidianamente a piccoli incrementi della biodiversità grazie principalmente agli studi di biologi e naturalisti che descrivono generi o specie ancora sconosciuti, dall’altro verifichiamo purtroppo un rapido decremento della stessa dovuta alle sempre più numerose estinzioni di altre entità, ben al di sopra del tasso naturale. Il discorso dunque si allarga e va a interessare l’Uomo che, come il dottor Jekyll e Mister Hyde, da un lato si affanna – in realtà assai poco - a cercare di proteggere la Terra mentre dall’altro ne distrugge progressivamente gli ecosistemi e quindi la biodiversità, con danni perlopiù irreparabili.

 

Un altro aspetto non secondario è legato all’introduzione attiva o passiva di specie aliene nei vari ecosistemi, variandone dunque la biodiversità, e conseguentemente anche le ricadute ecologiche. La globalizzazione, la facilità di rapporti fra stati e fra continenti diversi legata al turismo e soprattutto al commercio, i cambiamenti climatici in atto, l’ignoranza, la superficialità, o il tornaconto economico, favoriscono la presenza di specie straniere nei nostri territori con risultati drammatici. Ecco pochissimi fra i numerosi esempi degli ultimi decenni, e solo fra gli insetti: la Vespa velutina, il calabrone asiatico assai dannoso per le api, già falcidiate dall’uso indiscriminato di pesticidi; la Halyomorpha halys, la cimice cinese che sta rovinando i nostri frutteti, l’Aedes albopictus, la fastidiosa zanzara tigre, il Rhynchophorus ferrugineus, il punteruolo rosso che sta distruggendo una dopo l’altra le palme dei nostri litorali.


Tutte queste variazioni negative della biodiversità hanno un effetto sempre più devastante sul nostro pianeta, sia diretto che indiretto di cui verifichiamo anche in questi giorni le conseguenze. L’ultimo report del WWF Italia dello scorso marzo, intitolato “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Tutelare la salute umana conservando la biodiversità”, pone infatti l’accento sulle ricerche di alcuni scienziati che proverebbero come lo spillover, cioè il passaggio di germi patogeni dagli animali all’uomo, potrebbe essere agevolato “dalla distruzione e modificazione degli ecosistemi, dovuta alla penetrazione dell’uomo nelle ultime aree incontaminate del pianeta […]. Fattori importanti alla base della diffusione di molte patologie emergenti sono dunque la perdita di habitat e di specie, la creazione di ambienti artificiali, la manipolazione e il commercio di animali selvatici e più in generale la distruzione della biodiversità.”. Per questo, il report “sottolinea come conservare la natura e restaurare gli habitat danneggiati oggi rappresenti uno strumento essenziale non solo per salvaguardare la biodiversità, ma anche per preservare la nostra salute e il nostro benessere. Il funzionamento naturale degli ecosistemi e la loro attenta gestione ostacola la diffusione di malattie, e riduce così il loro impatto sulla salute umana” (M. Antonelli, Pandemie e animali selvatici, in Dislivelli.eu, n. 104, 20 aprile 2020)


Sono indicazioni che dovranno essere ancora in parte rafforzate, ma che inducono comunque a pensare.
Per difendere la biodiversità bisogna dunque necessariamente passare dalla conservazione delle specie alla protezione degli ecosistemi nel loro complesso, considerando che comunità ed habitat costituiscono una sola cosa. Le specie infatti non sono entità completamente autonome e scollegate, ma interagiscono tra loro e con l’ambiente, anche se in modo diverso, a seconda del ruolo funzionale e dello spazio occupato nella comunità.


La Valle d’Aosta, regione alpina ricca di biodiversità, è fortunatamente ben difesa all’interno di numerose aree: 5 Zone di protezione speciale (ZPS), tra cui il Parco Nazionale Gran Paradiso e il Parco regionale Mont Avic e 28 Zone speciali di conservazione (ZSC) rientranti nella Rete Ecologica Europea Natura 2000 VdA, per un totale di oltre 990 Kmq di natura protetta su una superficie totale regionale di 3261 Kmq.
È inoltre attivo l’Osservatorio della biodiversità, un utile strumento informativo che, mediante l’aggiornamento continuo dello stato delle conoscenze, supporta la gestione di questi siti, la creazione di Banche dati naturalistiche e la condivisione di informazioni e dati con la comunità scientifica internazionale. Ma non bisogna abbassare la guardia!


Siamo al termine del decennio consacrato dalle Nazioni Unite alla biodiversità e nella giornata dedicata alla stessa. Credo sia arrivato veramente il momento in cui dobbiamo tutti guardare con occhi nuovi il mondo che ci circonda rispettando in particolar modo quella diversità biologica di cui, volenti o nolenti, facciamo parte, per non subirne le conseguenze. E le avvisaglie sono appunto già numerose!


Farfalla su fiori viola