Editoriale

STEFANO UNTERTHINER - Febbraio 2012

Considero la fotografia un potente mezzo di comunicazione. Qualunque fotografia, non solo quella del professionista più acclamato, ha questa capacità, quasi magica, di comunicare qualche cosa. Tanto più una fotografia riesce “a parlare” (a comunicare), tanto più il fotografo è riuscito nel suo intento, talvolta inconsapevole, di trasmettere un ricordo, un'idea, un'emozione. Ho sempre avuto chiaro il ruolo comunicativo del mezzo fotografico; e questo suo grande potere mi ha sempre affascinato.

Sin da ragazzo, ho avuto voglia di documentare la natura. E ho iniziato a farlo, quasi per caso, con la macchina fotografica proprio in Valle d'Aosta. Ho capito presto, però, che potevo utilizzare la fotografia per “dar voce” alla natura: raccontare quel mondo naturale, che la nostra società moderna e ipertecnologica sembra aver quasi dimenticato, è diventata la missione della mia vita. Il fotografo, come ambasciatore della natura, che racconta, divulga, denuncia, difende: non solo con le immagini, ma anche con la sua persona, le sue scelte, le sue parole. La fotografia come sua bandiera. Nel corso degli anni, il mio lavoro si è concentrato sugli animali selvatici e in particolare sulle specie in pericolo d'estinzione. E ho scelto di raccontare, di dar voce agli animali, mostrando la bellezza e la fragilità del nostro mondo. Non immagini brutali di dolore e distruzione, ma un racconto sulla bellezza che ancora ci circonda. Non soltanto immagini di denuncia e sconfitta della natura (e dell'uomo), ma sopratutto fotografia di speranza, di riconciliazione con quella parte primitiva che ancora vive (lo spero) in tutti noi. La fotografia, per avvicinare l'uomo alla natura.

Ma è possibile cambiare davvero qualcosa soltanto attraverso una fotografia? È una domanda che mi pongo senza sosta. E la riposta, devo essere sincero, ancora non la conosco. Chi sarà raggiunto dal mio messaggio? Quali scelte, quali azioni, saranno influenzate da una mia fotografia? Ho speranza che il mio lavoro possa contribuire alla protezione della natura. La mia più grande ambizione (il grande sogno che è motore di tutto!) è che il mio lavoro possa produrre risultati reali, concreti. Possa aiutare politici e amministratori, ma anche semplici cittadini, a prendere le decisioni giuste. Ho bisogno di crederlo. Ed è questa la ragione che mi ha spinto ad accettare la proposta di essere il testimonial del progetto VIVA. La natura, quella selvaggia e intatta (ricca di quella bellezza che cerco e voglio raccontare), può diventare un'opportunità di sviluppo di un turismo sostenibile; e quella natura va dunque difesa.

Mi sembra il percorso giusto per una convivenza, finalmente pacifica, tra uomo e natura (e non nascondo un certo orgoglio che questo percorso sia fatto in Valle d'Aosta). Investire sul turismo naturalistico si è dimostrata una scelta vincente, per la popolazione, ma anche per l'ambiente, in tante regioni del mondo: la natura è un “prodotto” che si vende bene, a condizione che venga protetta e che si eviti quel turismo di massa che quasi mai è conciliabile con la tutela dell'ambiente.

E qui arrivo alle mie motivazioni.

Quando mi è stato presentato questo progetto, ho subito colto la possibilità di contribuire a proteggere la natura (e fare un passo verso quella ricerca di concretezza a cui mira il mio lavoro). E quale natura! Quella delle montagne e degli animali alpini che tanto amo. Preso dall'entusiasmo, come sempre mi accade ho iniziato a sognare. Ho immaginato che la riuscita del progetto VIVA portasse a una Valle d'Aosta più bella, più attenta alle sue ricchezze naturalistiche, e perché no, anche più protetta. La vera riuscita di questo progetto, a mio avviso, non dovrà essere soltanto lo sviluppo di un turismo sostenibile nelle aree protette già esistenti, ma anche la tutela futura di altre aree di territorio valdostano che meriterebbero maggiore attenzione. Se tutto ciò accadesse, avrei realizzato un sogno.